Per il quarto anno consecutivo, i Cleveland Cavaliers hanno staccato il biglietto esclusivo per le NBA Finals. Per la quarta stagione filata i loro avversari saranno i Golden State Warriors per una sfida che, ormai, è da considerare come la rivalità-simbolo di questo secondo decennio degli anni 2000. Non era mai successo nella storia dello sport americano che due franchigie si affrontassero per quattro edizioni consecutive delle finali. Cleveland e Golden State sono rispettivamente la quinta e la sesta squadra di sempre capaci di raggiungere le Finals per quattro anni filati. Gli ultimi a riuscirci sono stati i Miami Heat di LeBron James tra il 2011 e il 2014. Questo dovrebbe quanto meno portarci a riflettere sulla grandezza del numero 23 da Akron, Ohio.
I protettori di The Land sono emersi vincitori da una Eastern Conference quanto mai equilibrata e competitiva, a seguito di un percorso rapsodico e scosceso all’interno del quale la loro narrazione è sembrata più volte sul punto di essere interrotta. E invece, per l’ottavo anno di fila, LeBron James è riuscito a rinnovare il proprio dominio sulla costa Est degli Stati Uniti, collezionando una nuova serie di argomentazioni per la propria candidatura all’inassegnabile titolo di più grande cestista di ogni epoca. Non sono bastate due Gare 7 (inframezzate da una serie dominata contro la squadra migliore a Est della regular season) a fermare la corsa di un King James che, numeri alla mano, potrebbe star vivendo la miglior prestazione individuale ai Playoff di sempre. Nel corso di questa post-season, infatti, oltre a viaggiare quasi in tripla doppia di media, LeBron si è anche tolto lo sfizio di diventare il più grande competitor da Gara 7 che questo Gioco abbia mai visto: ben sei volte oltre quota trenta punti nell’ultimo capitolo di una serie, ben due volte in questa stagione. Non ci era, ovviamente, mai riuscito nessuno.
“È tutto parte di un piano,”
le sue parole dopo l’ennesima Gara 7 da leggenda. Un piano del quale, evidentemente, devono far parte i compagni, ancora una volta protetti dal numero 23 dopo quell’ulteriore affresco di irreale bellezza. Dalla loro capacità di affiancarlo nella sua personalissima lotta per la grandezza passano molte delle chiavi di questa serie.
Precedenti stagionali
I precedenti stagionali recitano chiaro: Golden State ha rifilato due sconfitte ai Cavs su altrettanti confronti. Un 2-0 maturato con scarti di sette e dieci punti sul quale, però, gravano diversi asterischi. Entrambe le sfide sono giunte ben prima della rivoluzione totale attuata da Cleveland allo scoccare della trade deadline: non esistono, dunque, confronti stagionali tra i due team nelle loro formazioni attuali. Nella sfida di Natale per i Cavs partivano addirittura in quintetto Calderon e Crowder, mentre Golden State doveva fronteggiare l’assenza di Steph Curry e trovava 6 punti e due rimbalzi da Omri Casspi, ormai tagliato per far spazio a Quinn Cook. Il risultato è stata una sfida piacevole, combattuta fino agli ultimi 30 secondi di gara, ma assolutamente non indicativa dei rapporti di forza tra i due team.
La rivalità tra le due squadre è diventata anche un classico degli NBA Christmas Days.
Nella seconda gara stagionale, invece, abbiamo assistito a una delle migliori prove in maglia Cavaliers di Isaiah Thomas, in una delle sue ultime, non fortunatissime, recite a Cleveland. La sconfitta contro gli Warriors è stata la quarta consecutiva all’interno di un terribile mese di gennaio che avrebbe poi portato a Cleveland a mutare completamente volto. Da quel momento in poi tante cose sono cambiate ma un dato di fatto appare intatto: Cleveland, malgrado la presenza di LeBron James, non è assolutamente la favorita.
Chiavi tattiche
Saranno tre gli elementi di primaria importanza per i Cavs in questa serie: la necessità di trovare alternative offensive consistenti nel supporting cast, la capacità di abbassare il ritmo e l’urgenza di negare tiri da tre di qualità agli avversari. Tre situazioni di gioco profondamente connesse tra loro, visto che lungo tutta la stagione Cleveland ha dimostrato di perdere sensibilmente di consistenza quando ha avuto difficoltà in attacco, sfaldandosi in difesa e perdendo ogni tipo di predisposizione a profondere un effort per cambiare l’andamento della contesa. Una situazione di totale instabilità tecnico-emotiva che verrà seriamente messa sotto stress dagli avversari di queste Finals: Golden State vive di flusso ininterrotto. Gli Warriors sublimano i loro talenti quando gli avversari perdono di lucidità e si lasciano inghiottire da quel vortice sfrenato di difesa, transizione e attacco.
Un antidoto contro le tendenze autodistruttive della squadra dell’Ohio potrebbe risedere nella capacità di salire di colpi dei giocatori meno attesi nei momenti decisivi: i Jolly pescati da Tyronn Lue nelle due Gare 7 con Thompson e Green sono sintomatici di un roster meno privo di talento individuale di quanto si tenda a sottolineare nelle ultime settimane ma decisamente troppo discontinuo per dare garanzie su base continuativa. Non è un caso che, nel corso dell’intera post-season, il secondo miglior realizzatore dei Cavs (Love), totalizzi meno della metà dei punti del Re (14.9 contro 34) e che nessun altro raggiunga la doppia cifra di media nei Playoff. L’inconsistenza offensiva dei compagni ha portato LeBron a viaggiare con una Usage% di 36.2 nei Playoff, che è salita fino al 37.9 della serie contro i Celtics. L’heroball, di fatto, è la fonte di gran parte dei vantaggi costruiti da Cleveland nella metà campo offensiva: LeBron appare come un’immensa fiamma alla quale i suoi compagni attingono per accendere le loro piccole torce sui sentieri che conducono alla fine delle serie.
In una delle caratteristiche deteriori del proprio attacco, però, Cleveland può trovare un ancora alla quale aggrapparsi per competere in questa serie: il ritmo bassissimo sul quale i giocatori di Lue hanno improntato i loro Playoff può risultare utile per raffreddare i bollenti spiriti di Golden State, negando così transizioni e tiri da tre in ritmo alla squadra di Steve Kerr. A incidere sul bassissimo numero di possessi (93.85) mediamente giocati ogni sera in questa post-season dai Cavs, c’è certamente la loro tendenza nel concedere a James di isolarsi a metà campo, producendo comunque numeri più che accettabili: i Cavs chiudono i propri possessi con un isolamento nel 12.9% dei casi, raccogliendo 0.96 punti ogni volta. LeBron, in particolare, chiude in isolamento addirittura il 28.5% dei suoi possessi, portando a casa in media 1.07 punti. Numeri à-la-Harden (in questi Playoff il Barba ha realizzato appena 0.03 punti per isolamento più di James) che da soli possono condizionare lo scenario anche di una serie apparentemente impari come questa. Se LBJ dovesse andare così spesso e in maniera così efficace in isolamento, il ritmo delle sfide potrebbe venir compromesso e il flusso degli Warriors potrebbe uscirne seriamente intaccato. Non a caso, contro un attacco fortemente improntato sulle situazioni di isolamento come quello dei Rockets, Golden State ha dovuto per larghi tratti della serie rivedere il proprio sistema, venendo costretta a Gara 7.
Altro elemento strettamente connesso con il controllo del ritmo è, ovviamente, la qualità dei tiri da tre punti presi dagli avversari: più si corre, più diventa difficile per Cleveland contestare i tiri da tre in transizione di Golden State. In questa post-season, i Cavs non sono risultati particolarmente incisivi nella difesa perimetrale, arrivando a contestare 22.5 triple a gara ai propri avversari, un numero sotto il par di questi Playoff. In generale, Cleveland è comunque la seconda peggior squadra dei Playoff (con appena 58.3 conclusioni contestate a gara) per capacità di oscurare la visuale su un tiro degli avversari, una notizia non rincuorante per chi deve affrontare gli Warriors, che fanno della ricerca dei quality shots il proprio mantra, anche sotto pressione. Il passabile 37% da tre punti concesso agli avversari, dunque, non è completamente farina del sacco dei Cavs che, spesso, hanno visto i propri avversari sbagliare tiri da tre ben costruiti e in ritmo, come ad esempio è successo ripetutamente in Gara 7 contro i Celtics.
Players to watch
Come appare ormai evidente, i giocatori da tener d’occhio i casa Cavs sono coloro i quali sembrano maggiormente indicati a restare nella scia del Re, aiutandolo a non affondare contro un avversario che appare comunque complessivamente più attrezzato e coeso. Il primo indiziato è, ovviamente, Kevin Love, chiamato a tornare in campo dopo l’assenza di Gara 7 per commozione cerebrale. Il numero zero, oltre a dover svolgere quantitativamente il ruolo di secondo violino, dovrà disporre della freddezza necessaria per convertire le pesantissime wide-open-threes che la presenza di LeBron gli permetterà automaticamente di scoccare, senza tralasciare l’importanza del suo impatto a rimbalzo. Tra i nomi meno patinati, occhi all’ impatto di Tristan Thompson, fondamentale per la sua attitudine a rimbalzo (anche e soprattutto offensivo) e nella rim protection. Il numero 13 si è già mostrato capace in più occasioni di cambiare il volto dei Playoff di Cleveland: è anche grazie alla sua Gara 7 da antologia contro i Pacers, arrivata dopo sei gare di castigo, se la squadra di coach Lue è in grado di giocarsi queste Finals. Il vero punto di domanda resta quello inerente alla sua capacità di stare in campo anche contro il Death Lineup (sempre che Iguodala riesca a rientrare) ma, già in passato, ha dimostrato di riuscire a lasciare il segno anche contro quintetti extra-small.
Per citare, invece, uno dei protagonisti dell’ultima Gara 7: anche Jeff Green avrà importanti compiti nelle due metà campo. La sua capacità di occupare entrambi gli spot di ala, mostrandosi un attaccante piuttosto pronto e versatile e un difensore attento e spendibile su più ruoli, ha dato una decisa spinta ai Cavs nella decisiva sfida contro i Celtics e può decisamente tornare utile contro i multiformi quintetti di Kerr, specie contro gli Hampton Five.
Pronostico
Scommettere contro James si configura sempre come un azzardo. Cleveland, però, è apparsa per larghissimi tratti di questa stagione non in grado di competere contro le due grandi squadre dell’Ovest. Il fatto che i Cavs siano giunti alle Finals, da un lato rappresenta un’epitome dell’immensa grandezza del proprio leader e della conoscenza profonda ormai sviluppata da questo gruppo in un contesto come quello della Eastern Conference, dall’altro potrebbe essere inquadrato come il miglior obiettivo raggiungibile da un team a lungo apparso privo di tessuto connettivo tecnico e umano. Immaginare i Cavaliers campioni NBA è un’impresa ardua, anche se in campo c’è il miglior LBJ di sempre. La serie potrebbe chiudersi in 5 gare per Golden State, giungendo a un massimo di sei se il supporting cast dei Cavs darà parte delle risposte sperate. La quinta finale persa in otto anni da LeBron James potrebbe aprire nuovamente scenari rivoluzionari per l’intera Lega: ci basta aspettare la fine della serie per cominciare a saperne di più.
La copertina di questo pezzo è una polaroid del fotografo NBA Matteo Marchi, bravo e bello.
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