Quando quasi un anno fa la dirigenza dei Warriors rese nota la propria decisione di privarsi del Mark Jackson per la panchina del team, non furono pochi coloro che pensarono che il cocente sole della California avesse dato alla testa al duo Lacob-Myers, adducendo la controversa scelta anche a possibili divergenze personali col Reverendo. Come spiegare altrimenti l’allontanamento dell’artefice della rinascita di una squadra ormai da anni ampiamente al di fuori dal giro playoff nella tremenda Western, al di la del leggero passo indietro nella sua terza stagione sulla panchina della Oracle Arena? Come spesso accade, alcuni mesi dopo sono stati i fatti a dar ragione a una dirigenza che, da quando ha preso in mano il team pochi anni fa, ha sbagliato davvero poco, trasformando i Warriors da cenerentola a schiacciasassi dell’Ovest e dell’intera Lega. Ma per i ragazzi del nuovo coach Steve Kerr il momento della definitiva consacrazione, dopo una stagione regolare a dir poco trionfale, è arrivato adesso, in una post season che li attende come protagonisti assoluti. Il cui cammino inizia incrociando un’altra franchigia in rapida ascesa, che, come i Warriors pochi anni fa, ha trovato la pietra miliare su cui costruire le proprie fortune dopo anni di purgatorio: New Orleans, per la prima volta ai playoff con il nome di Pelicans e con un Monociglio in cabina di comando.
COME ARRIVANO AI PLAYOFF
Si può arrivare ai playoff meglio di come ci sono giunti i Warriors quest’anno? Veramente difficile. In una stagione 2014/2015 che, ancora una volta, ha conosciuto un vistoso livellamento verso l’alto nella combattutissima Western Conference (7 squadre con almeno 50 vittorie stagionali…), e dopo una stagione precedente molto buona ma non eccezionale per i territori a Ovest del Mississippi (51-31), Golden State ha chiuso con un record di 67-15, diventando la decima squadra a vincere tante gare e riscrivendo ovviamente il record di franchigia. L’ottimo livello di gioco su entrambe le metà campo tenuto dalla banda di Kerr non ha mai subito grosse flessioni, impressionando per continuità di rendimento e maturità, e preoccupando forse solo per la residua riserva di carburante ancora nel serbatoio nel momento topico dell’anno. Una curiosità: seppur dopo aver ormai raggiunto il primo posto nella Lega, e con parecchi sospetti di mossa calcolata per evitare Oklahoma City al primo turno, l’ultima sconfitta stagionale del team di Oakland è arrivata proprio coi Pelicans. Ma è stata anche l’unica in stagione (3-1 negli scontri diretti tra le due franchigie).
New Orleans arriva invece a questa post season con l’entusiasmo di chi ci torna per la prima volta con la nuova gestione societaria e il nome di Pelicans, e la spensieratezza di chi l’obiettivo stagionale l’ha già centrato e ora può giocare libero da grandi pressioni. Gruppo relativamente giovane (tutti i giocatori sono under 30), guidato dall’elemento anagraficamente più piccolo come Anthony Davis (22 anni da poco compiuti), i Pelicans hanno raggiunto il traguardo playoff al fotofinish dopo una stagione quasi interamente passata a rincorrere, approfittando della cronica sfortuna dei Thunder, che auspicabilmente a ranghi completi li avrebbero preceduti: identico 45-37 il record finale, che premia la franchigia della Louisiana solo in virtù degli scontri diretti. La squadra ha comunque vissuto un finale di stagione in crescendo, propiziato dal recupero di alcuni elementi fondamentali: Eric Gordon e Ryan Anderson sono riusciti a riprendere in tempo il ritmo partita, ma particolarmente importante è il ritorno in campo di Jrue Holiday, che dopo un lungo infortunio è rientrato nelle ultimissime gare, e se trovasse una discreta forma fisica potrebbe rivelarsi un’arma molto importante nelle mani di coach Monty Williams.
GIOCATORI CHIAVE
- Stephen Curry. Come non indicare uno dei primissimi candidati MVP? Il figlio di Dell in questa straordinaria annata si è definitivamente consacrato come uno dei primi cinque giocatori dell’intera Lega, e molto probabilmente come il suo tiratore più puro (23.8 punti, 7.7 assist con il 52.8% da 2 e il 44.3% da 3, percentuali irreali considerato il tipo di conclusioni prese dal play da Davidson). La squadra costruita da Kerr è un ingranaggio ai limiti della perfezione, ma quando la palla inizierà a farsi pesante e la pressione insostenibile non si potrà prescindere dal talento e dal carisma di Steph, che infatti ha già iniziato a scaldare le mani: la famosa percentuale da 3 punti è salita a un surreale 52% dopo l’All Star Game…
- Klay Thompson. Il “fratellino” del candidato MVP ha iniziato la stagione tra le critiche di chi indicava come fin troppo faraonico il rinnovo da lui firmato e chi addirittura l’avrebbe voluto spedire nel Minnesota per arrivare a Kevin Love. Come suo solito, ha fatto parlare il campo: miglior stagione in carriera con quasi 22 punti, il 44% dall’arco e la prima apparizione all’All Star Game. Giocatore dal rendimento costante e sempre presente, nei playoff potrebbe fare molto comodo la capacità mostrata quest’anno di prendere totalmente fuoco, spaccando in due le partite: 41 coi Lakers, il giorno dopo il discusso rinnovo, 52 ai Kings di cui 37 con 13/13 nel solo terzo quarto, e altri 42 con 26 nella seconda frazione pochi giorni fa contro Memphis. E attenzione adesso, perché New Orleans non ha propriamente dei mastini sul perimetro…
- Draymond Green. Forse la vera chiave tattica della serie, così com’è stato per l’intera stagione: tutti si aspettano gli Splash Brothers, ma come li limiti se poi hai altre due ali dal tiro mortifero sul perimetro? Dilemma insoluto al momento, e non si vede come New Orleans possa risolverlo (abbassare il quintetto o costringere Davis a seguirlo fuori area?), visto che poi dall’altra parte potrebbe essere proprio lui l’agente speciale di Kerr sull’Eyebrow considerate le eccellenti attitudini difensive, non pagando così alcun dazio: a Monty Williams l’ingrato compito di sbrogliare la matassa.
- Anthony Davis. L’unico che possa veramente far male ai Warriors con la sua letale combinazione di altezza, tecnica, rapidità e atletismo. I 4 tattici di Golden State sono ottimi difensori ma sembrano un po’ piccolini, Bogut è al contrario troppo grosso e lento: il vero problema, paradossalmente, potrebbe essere difensivo, perché da PF sarà costretto a correre dietro a un giocatore perimetrale, mentre da centro dovrà battagliare col corpaccione di Bogut sotto canestro. Potrebbe pagare anche un po’ d’inesperienza a questi livelli, ma pare già da tempo un predestinato e, al di la di un supporting cast non certo da buttare, fin dai primi playoff in carriera ogni fortuna della sua squadra passerà dalle sue capienti mani.
- Tyreke Evans. Gli esterni di Golden State fanno paura, ma sulla carta non è che il back court dei Pelicans sia così pessimo, con Holiday, Gordon e appunto Evans; peccato che tutti e tre nell’afosa Louisiana non siano mai riusciti ad esprimersi ai livelli delle rispettive squadre di provenienza. Nonostante solo Holiday vanti un minimo di esperienza playoff (debutto assoluto invece per Gordon e Evans), il loro duello con gli esterni avversari risulterà cruciale per tenere vive le speranze dei Pelicans, ed Evans, secondo realizzatore di squadra a oltre 16 di media, con la propria fisicità è quello che potrebbe dare maggior fastidio agli avversari.
I COACH
Tutti lo cercavano, tutti lo volevano, tutti speravano di vederlo sulla propria panchina quest’estate, ed ora se ne intuisce il motivo: dopo una gloriosa carriera da comprimario di lusso, Steve Kerr si è subito imposto come coach di primissimo livello, papabile anche per l’apposito premio, infrangendo subito il miglior record per un allenatore esordiente. Ereditata una squadra interessante ma non certo contender, senza alcun innesto di primo piano l’ha trasformata in potenza della Western Conference, limando i difetti della creatura di Jackson e creando così una macchina da guerra basata su difesa e gioco in transizione sostanzialmente a memoria. Considerata la qualità della melodia, pare difficile che la musica possa cambiare in questa serie, in cui l’obiettivo principale sarà estraniare il più possibile Davis dal gioco e imporre il proprio ritmo frenetico agli avversari.
Nel primo turno playoff della propria carriera Kerr troverà di fronte un rivale ugualmente giovane, ma con un minimo di esperienza in più: Monty Williams infatti era già sul pino degli allora Hornets nella loro ultima apparizione ai playoff (2011), ed è stato riconfermato dalla nuova proprietà per guidarne la rinascita. Il processo è stato graduale, ma le vittorie sono aumentate ogni stagione dopo l’anno zero segnato dall’addio di Chris Paul, fino al raggiungimento della post season, primo traguardo di una franchigia che guarda al futuro con grandi ambizioni. Difficile però che esse possano realizzarsi già in questa stagione: sicuramente proverà a tenere i ritmi bassi per evitare la letale transizione avversaria e ad attaccare la difesa schierata con la propria maggiore fisicità, ma con questi Warriors pare già solo questo impresa titanica.
I PRECEDENTI
Come detto Warriors e Pelicans sono 3-1 a favore della franchigia californiana in stagione regolare, con l’unica sconfitta arrivata in questo finale di stagione in cui solo i Pelicans avevano interesse a vincere. Da notare però che solo in 2 di queste 3 sconfitte era presente Anthony Davis, che nelle restanti due gare disputate ha viaggiato a 29.5 punti e 13.5 rimbalzi con quasi il 60% al tiro: poco per essere indicativo, ma comunque un segnale di possibile indigestione da parte degli avversari. Una delle due sconfitte senza Davis è peraltro arrivata all’overtime, quando ai 34 di Curry rispose una prestazione realizzativa analoga di Evans e un secondo trentello di Holiday.
PRONOSTICO
Per quanto i Pelicans a ranghi completi non siano certo una cattiva squadra, perlomeno sulla carta, pare difficile che possano realmente impensierire questi lanciatissimi Warriors, i quali, al di la delle dichiarazioni di rito di Curry, sembrerebbero trovarli più “graditi” rispetto eventualmente alla più esperta Oklahoma City. Se Golden State non avrà cali di tensione o un po’ di stanchezza dopo una stagione tanto buona e sempre al massimo la serie sembra già destinata a risolversi in 4 o 5 gare (tanto più che i Pelicans potrebbero arrivare un po’ scarichi dopo una rincorsa che li ha costretti a spendere molto nella seconda metà di stagione), ma c’è un sinistro precedente, ricco peraltro di analogie e ricorsi, che può far quantomeno sognare i tifosi di New Orleans: l’ultima squadra a chiudere una stagione con un record di 67-15, i Dallas Mavericks nel 2006/2007, vennero incredibilmente eliminati per 4-2 proprio dai Warriors di uno scatenato Baron Davis (toh, cognomi ricorrenti), qualificati solo nelle ultime gare stagionali, in quello che è tuttora uno dei più grandi upset della storia degli sport americani. Roba da superstizione probabilmente, ma Steph e compagni sono avvisati…
Pronostico: 4-0 Warriors
Sab. 18/4 | Gara 1 | New Orleans @ Golden State | ore 21.30 |
Mar. 21/4 | Gara 2 | New Orleans @ Golden State | ore 04.30 |
Ven. 24/4 | Gara 3 | Golden State @ New Orleans | ore 03.30 |
Dom. 26/4 | Gara 4 | Golden State @ New Orleans | ore 02.00 |
Mar. 28/4 | Ev. Gara 5 | New Orleans @ Golden State | orario da definire |
Ven. 01/5 | Ev. Gara 6 | Golden State @ New Orleans | orario da definire |
Dom. 03/5 | Ev. Gara 7 | New Orleans @ Golden State | orario da definire |