Dopo un anno passato a dire “Kawhi se ne va!” “Ma no, resta!!” “Gli Spurs troveranno un modo per rimettere tutto a posto”, è successo veramente. I San Antonio Spurs si sono ritrovati a dover effettivamente scambiare Kawhi Leonard, il loro giocatore franchigia, dopo l’insanabile spaccatura occorsa durante l’ultimo anno e mezzo tra il giocatore, e soprattutto il suo entourage, e la franchigia texana. Ne ha approfittato Masai Ujiri, portando Leonard in Canada (molti dicono per una sola stagione) a prezzo di saldo: DeMar DeRozan, Jacob Poeltl e la prima scelta 2019, protetta 1-20. Il fatto che gli Spurs abbiano inserito nella trade anche Danny Green, per bilanciare i contratti, e che soprattutto non siano riusciti a mettere le mani su nessuna delle due forward giovani e di prospettiva dei Raptors (Anunoby e Siakam), restituisce la dimensione di quanto difficile fosse muovere un giocatore come Leonard, nelle circostanze attuali e con appena un anno rimasto di contratto prima di diventare unrestricted free agent. Primo, perché è quasi impossibile dare un valore a un giocatore che se sano è un potenziale MVP, ma che ha giocato appena nove partite nell’ultima stagione; secondo perché essere costretti a cedere Kawhi ha messo gli Spurs in una posizione non solo anacronistica, ma anche scomoda.
Gregg Popovich ha fatto anche i suoi interessi, mentre (come sempre) faceva quelli della franchigia. Spedire Kawhi il più lontano possibile, geograficamente parlando, dall’adorata Los Angeles andrebbe classificata come una delle mosse più GoSerbian! della sua carriera, ma è molto più logica di quanto si pensi. Per uno small-town market come San Antonio è fondamentale provare a restare competitivi, per non rischiare di perdere quel già poco appeal commerciale, e la possibilità di prendere un All-Star fatto e finito (seppur con tutti i suoi limiti) come DeRozan dev’essere sembrata irrinunciabile — specie con quello che offrivano gli altri.
Popovich compirà 70 anni il prossimo 28 gennaio e con la promessa di allenare Team USA alle prossime Olimpiadi (2020) sembra plausibile che ancora due anni di basket nelle vene ce l’abbia, ma forse non di più. Chiedergli di ripartire completamente da capo, con una squadra di soli giovani sarebbe stato troppo, e con la trade con Toronto si è trovato il giusto compromesso per iniziare a pensare al domani, restando competitivi anche oggi. Ma indipendentemente da in quanto si voglia spaccare il capello, l’estate appena trascorsa rappresenta davvero l’anno zero della “nuova” gestione della franchigia texana. L’era degli Spurs per come li abbiamo conosciuti fin da bambini si è definitivamente conclusa nei momenti esatti in cui Tony Parker ha firmato un contratto biennale con gli Charlotte Hornets e Manu Ginobili ha deciso di porre fine alla sua leggendaria carriera.
Today, with a wide range of feelings, I'm announcing my retirement from basketball. IMMENSE GRATITUDE to everyone (family, friends, teammates, coaches, staff, fans) involved in my life in the last 23 years. It's been a fabulous journey. Way beyond my wildest dreams. pic.twitter.com/3MLCUtmd6K
— Manu Ginobili (@manuginobili) August 27, 2018
Per la prima volta dal 1997 non ci sarà nessuno tra Timmie, Tony e Manu. Considerando che anche l’erede al trono, Kawhi Leonard, ha deciso di abdicare, si può tranquillamente asserire che sia finita un’epoca. Questo non significa comunque che tutto sia da buttare, o da ricostruire. Le basi della franchigia restano solide, soprattutto per quanto riguarda la capacità di saper lavorare ad un livello diverso (sotto ogni aspetto, soprattutto quello umano) rispetto a quasi tutte le altre. LaMarcus Aldridge, dopo una stagione di redenzione giocata a ottimi livelli, resta un ottimo giocatore, soprattutto in regular season, così come DeRozan. Il roster costruito attorno a loro non è d’élite, specie per l’estrema competitività della Western Conference, ma i margini di crescita dei giovani sono buoni, in alcuni casi anche stimolanti, e il fatto di avere il miglior allenatore (forse di tutti i tempi) saldamente al comando, in panchina, rappresenta quella certezza in più che permetterà agli Spurs di essere una squadra ostica da battere anche nella prossima stagione.
Punti Forti
L’attacco sarà tutto sulle spalle di LaMarcus Aldridge e DeRozan. Il loro gioco, basato sul mid-range sembra sposarsi perfettamente con lo stile di pallacanestro predicata da Popovich negli ultimi anni. Aldridge è una macchina da post. È agile nel prendersi la posizione più congeniale e molto difficile da spostare; con una serie di movimenti spalle a canestro, una tecnica sopraffina e una mano molto morbida resta uno dei pochi lunghi ancora in grado di regalare un pizzico di pallacanestro anni ’90 nella NBA contemporanea. In assenza di valide alternative, nella passata stagione gli Spurs lo hanno cavalcato fino all’estremo, con il lungo texano che ha messo assieme numeri eccezionali. Nessuno ha segnato come lui da post-up (9.3 punti di media a partita), su una mole di tocchi da primato (solo Embiid ha fatto meglio).
DeMar DeRozan invece potrebbe rivelarsi un coltellino svizzero molto interessante da dare nelle mani di un coaching staff brillante come quello degli Spurs. La sua capacità di creare dal palleggio sarà fondamentale, ed è un’arma che San Antonio non aveva nelle sue corde nella scorsa stagione (se non nei lampi di Ginobili). DeRozan è un superbo giocatore di pick-and-roll, in grado di trovare i migliori angoli e le migliori letture per punire le difese. La sua produzione come ball handler in questa situazione è al top nella lega: con un numero di possessi pari a quello di giocatori come Harden e Westbrook, DeRozan riesce ad essere più efficace, con 0.92 punti per possesso. A Toronto, in un attacco poco strutturato e dalle facili letture, DeRozan riusciva comunque ad essere terribilmente efficace e la qualità e la sincronia dei movimenti dell’attacco texano potrebbero renderlo ulteriormente pericoloso, magari potendo ricevere in situazioni dinamiche e verticali al canestro.
DeRozan è bravo ad attirare le attenzioni della difesa su di se e non ha paura di andare in area e prendersi contatti e andare in lunetta, dove realizza con un solido 80% abbondante su oltre sette tentativi a sera. Inoltre, nella passata stagione, era sembrato molto più a suo agio anche nel trovare i compagni, come dimostra il career-high alla voce assist (5.2), cosa che potrebbe ulteriormente migliorare in Texas. Le sue doti realizzative saranno fondamentali per sbloccare un attacco spesso troppo sterile anno scorso, permettendo ai “gregari” di avere maggiore spazio per operare e rendersi pericolosi.
La free agency non ha portato volti nuovi, ma la conferma di Rudy Gay e l’arrivo (o meglio, il ritorno) di Marco Belinelli potrebbero essere tasselli importanti. Conoscono il sistema e soprattutto Popovich conosce bene loro, e si fiderà a dargli minuti importanti. Dopo una stagione complicata causa infortuni, Gay è atteso ad una stagione di livello superiore: la sua capacità di crearsi un tiro dal palleggio sarà fondamentale, così come la sua dimensione da power forward, per giocare con quintetti più piccoli. Il ritorno di Belinelli rende agli Spurs un tiratore rispettabile e un playmaker secondario che sa gestire i ritmi della partita. Nella passata stagione i texani sono stati una delle peggiori franchigie nel tiro dall’arco e l’italiano sarà un’esca da rispettare, dato il 37.7% da tre in carriera NBA.
Lui e Patty Mills rappresentano l’ultimo anello di congiunzione con la squadra che vinse il titolo nel 2014 (con l’aborigeno anch’esso chiamato a una stagione migliore: va bene essere fondamentale per la Spurs Culture, ma la sua scorsa stagione è stata ampiamente insufficiente) e saranno importanti anche per lo spogliatoio, viste soprattutto le grandi assenze — anche se qualcuno, seppur invecchiato si presenta sempre a salutare e dare una mano <3.
Capitolo giovani: Se la partenza di Kyle Anderson è apparsa scontata dopo il contratto offertogli dai Memphis Grizzlies, la conferma di Davis Bertans è una bella notizia. La sua determinazione e applicazione sono doti che il coaching staff apprezza molto, ed è l’unico lungo a roster con una dimensione perimetrale rispettabile. Vederlo crescere sotto l’Alamo per altre due stagioni aiuterà a capire se potrà far parte del progetto Spurs del domani. La perdita di Anderson, elemento prezioso nella scorsa stagione, ha generato un buco (soprattutto nel minutaggio) che nel corso della stagione potrebbe essere riempito da giovani come Bryn Forbes, Derrick White (già presenti lo scorso anno) o il nuovo arrivato al Draft, Lonnie Walker IV.
White viene da una prima parte di Summer League (poi si è infortunato) impressionante, dove ha dimostrato di essere in grado di giocare sia con la palla che senza, di avere un QI cestistico elevato e di poter essere un tiratore mortale, con una meccanica di tiro davvero molto solida. Walker invece viene da una stagione in crescendo al college a Miami ed è un giocatore di gran temperamento, in grado di giocare più ruoli. Con vent’anni ancora da compiere sarà più probabile vederlo con la maglia degli Austin Spurs (la squadra di G League) che con quella di San Antonio, ma dalla sua crescita passa sicuramente un pezzo del futuro della franchigia.
Tutta l’essenza e l’essenzialità offensiva di Derrick White.
(Se invece volete conoscere meglio Lonnie Walker andate qui!)
Chi invece rappresenta già il presente è Dejounte Murray. Gli Spurs non hanno mai avuto una point guard con le sue caratteristiche fisiche: la sua esplosività ed elasticità lo rendono un rimbalzista sopra la media, e un difensore già estremamente competente — come dimostra anche l’elezione nel secondo quintetto difensivo della scorsa stagione. Dopo la pausa per lo scorso All Star Game è salito di livello in maniera molto promettente, passando da 7 a 11 punti, da 5 a 6.7 rimbalzi e da 2.8 a 3.3 assist di media a partita. Popovich lo sta plasmando con bastone e carota, com’è toccato a Parker prima di lui, e già in questa stagione ci si aspetta un ulteriore passo in avanti.
Jacob Poeltl invece sarà la prima alternativa a Pau Gasol. Crescere sotto il centro catalano potrebbe tornare molto utile per il giovane austriaco, un giocatore già molto intelligente, capace di ottime letture e buona visione del gioco. Rappresenta la visione classica del ruolo di centro e questo piace molto ai tradizionalissimi Spurs, che hanno visto in lui il giusto volto sul cui iniziare a programmare il futuro (nel ruolo). Nonostante non sia estremamente fisico è un decente rim-protector, che potrà svilupparsi anche come buon rimbalzista. I suoi numeri in uscita dalla panchina dello scorso anno sono entusiasmanti, ma da prendere con le molle: la second unit dei Raptors è da anni una delle più forti della lega e non sempre un singolo giocatore è in grado di ripetersi al di fuori di quel contesto (come è capitato a Patrick Patterson a Oklahoma City).
Punti Deboli
Per quanto incredibile possa suonare il vero punto debole per gli Spurs potrebbe essere la difesa. Gregg Popovich è un mago nel trovare le giuste alchimie difensive, preparando sempre squadre solide, ma la presenza di DeRozan e Aldridge assieme potrebbe essere un problema. Nessuno dei due è un difensore estremamente competente, ma entrambi saranno necessari in attacco. Così come Gay o Belinelli, andando a creare una coperta corta che rischia di non vestire bene i nero-argento su entrambe le metà campo.
Pop dovrà essere bravo a calibrare i quintetti a seconda delle necessità, e sicuramente saprà lavorare affinché almeno i limiti non siano palesi. Ma il rischio c’è, specie contro le attrezzatissime squadre dell’Ovest. DeRozan dovrà dimostrare di essere un difensore migliore, o quantomeno più connesso durante tutto il corso della partita. Conoscendone l’importanza offensiva è facilmente preventivabile che gli avversari vorranno puntarlo in difesa nel tentativo di sfiancarlo. Come dichiarato dal suo ex allenatore Nick Nurse, se fosse rimasto ai Raptors probabilmente l’avrebbero sempre accoppiato con l’attaccante avversario più pericoloso, per cercare di stimolarne l’attitudine difensiva, e chi sa che anche Popovich non possa proporgli la stessa medicina. Aldridge invece ha dimostrato di essere molto competente quando può difendere vicino a canestro, senza doversi muovere molto, ma di essere veramente in difficoltà sul perimetro. Oltre agli avversari, che vorranno portarlo fuori dalla sua confort-zone, ci sarà da capire anche quanto giocheranno assieme lui e Gasol (o Poeltl), visto che la presenza di un altro centro lo costringerà per forza di cose a giocare da power forward.
Un altro problema da risolvere è quello, come detto, della pericolosità al tiro. Gli Spurs hanno chiuso la scorsa stagione al 26esimo posto al tiro da fuori, con un modesto 35.2% su appena 24 tentativi (quartultimi nella lega). La ricerca del tiro pesante non è scientifica come da tante altre parti, ed è evidente come i texani giochino un tipo di pallacanestro diversa rispetto a molti; ma la sterilità perimetrale impedisce al gioco degli Spurs di essere efficace, strozzando le spaziature per le punte, e finisce per rendere l’attacco mono-tematico e prevedibile. Oltre ai già citati Belinelli e Mills, sarà interessante vedere se Popovich aumenterà il minutaggio di Forbes e White. Entrambi sono buoni tiratori, ma questo scoprirebbe ulteriormente la difesa, visti i chiari mis-match che la loro statura (non sono esattamente dei giganti, nonostante siano delle guardie) chiamerebbe su ogni possesso avversario.
A tutto questo ovviamente vanno sommate le eventuali problematiche di un gruppo che per la prima volta non vedrà all’interno la presenza delle leggende nero-argento. Nonostante la Spurs Culture sia sinonimo di affidabilità potrebbe volerci un po’ per trovare un giusto equilibrio e questo potrebbe portare a perdere terreno sulle concorrenti per un posto ai Playoff. “Fortunatamente” per gli Spurs il coaching staff non si è disintegrato: nonostante ogni membro sia stato intervistato per le panchine vacanti a giro per la lega, solo James Borrego ha lasciato San Antonio (direzione Charlotte), mentre Udoka e il nostro Ettore Messina sono rimasti al loro posto, rappresentando una bella polizza assicurativa sulla costruzione della squadra. Last but not least, la partenza di Borrego ha fatto sì che Becky Hammon diventasse la prima donna ad essere promossa prima assistente.
Scenario Migliore
Aldridge e DeRozan giocano da All-Star e trascinano i compagni, migliorandoli. Popovich trova la quadratura difensiva giusta e la squadra, con la disciplina e la capacità di eseguire sempre ad alti livelli, si conferma il monolite nero-argento che ha distrutto ogni record negli ultimi ventuno anni. Murray cresce sviluppandosi in una delle point guard più interessanti della lega, mentre uno tra White e Walker dimostrano di avere la stoffa giusta per emergere, mentre il supporting cast fa la sua parte rendendo le rotazioni profonde e permettendo ai più anziani di arrivare freschi ai Playoff. Seppur forse inverosimile, questo scenario farebbe degli Spurs la terza forza ad Ovest, nonché la prima rivale di Warriors e Rockets.
Scenario Peggiore
DeRozan accusa il cambio di conference e di clima, mentre Aldridge appassisce sotto il peso dell’età. Le lacune, soprattutto a livello di organico, nel reparto dei lunghi, impediscono agli Spurs di essere competitivi per i Playoff e l’assenza dei generali di campo (Ginobiliiii sic) sfalda lentamente le certezze della squadra. Popovich non trova le giuste contromisure difensive, e né giovani né veterani si dimostrano all’altezza della situazione. Per la prima volta dopo venti anni gli Spurs non partecipano ai Playoff della Western Conference e in estate viene eletto il primo Papa nero della storia.
Pronostico
Centrare i Playoff è fattibile, ed è l’obiettivo primario ai nastri di partenza. Pensare di poter andare oltre il primo turno, forse no.