Il dibattito su quale sia la migliore era di gioco mai vista in NBA è una delle poche certezze che abbiamo in questo sport: c’è chi rimpiange i favolosi anni ’80, chi le arcigne difese degli anni ’90, chi la spettacolarità dei primi anni 2000 e chi infine si sente a suo agio nei giorni nostri.
Ovviamente il gioco ha subito innumerevoli trasformazioni, come la possibilità di difendere a zona o l’illegalità dell’ hand-checking, e solamente queste due situazioni impediscono di effettuare un’obiettiva comparazione tra i periodi e le relative “legacies” che tanto ci hanno regalato in decenni di NBA. Tuttavia ad alimentare la discussione è intervenuto Charles Oakley, uno dei grandi esponenti del basket che non c’è più, che durante una serata di apprezzamento in suo onore in quel di Toronto (ove ha giocato per tre anni con la maglia dei Raptors, dal 1998 a 2001), ha rilasciato dichiarazioni di un certo impatto.
Queste le sue parole raccolte per noi da Kurt Helin di Probasketballtalk:
“Quale squadra mi piace guardare? Beh, al momento mi è difficile guardare l’NBA. Non so perché, è solo un gioco diverso, ci sono alcune buone partite ma molte brutte partite. Più brutte che belle. Non so perché, i giocatori vanno in campo e rotolano come una palla. Vedi le stesse squadre alle finals, o dopo aver vinto 55 partite: squadre forti con allenatori dalla mentalità forte. Il problema sono i giocatori, pensano poco, non sanno giocare insieme. Quindi posso dire che uno dei punti deboli di oggi è la comunicazione, i giocatori non amano il gioco. Giocano, si, ma non con il cuore”.
Parole di un certo peso quelle di Oakley che vanno a minare non solo la spettacolarità del gioco, ma anche la professionalità dei giocatori oltre che ad alimentare una diatriba che, crediamo noi, difficilmente avrà mai una conclusione certa e definitiva.