Cestisticamente parlando, in Italia l’uomo del momento è rappresentato senza alcun dubbio da Sergio Scariolo, neo campione NBA (il secondo italiano a riuscirci dopo Marco Belinelli) come assistente-allenatore dei Toronto Raptors che ha recentemente voluto raccontare a Walter Fuochi de La Repubblica quella che è stata la sua prima esperienza nella lega più bella del mondo:
Inizio da vice difficile
“Mi capitava di veder chiara una situazione, di fare una proposta [a Nurse] e vederla cadere nel vuoto. Anche quando piaceva. All’inizio subivo, poi ho capito che il buon vice deve scegliere bene il momento e la forma, oltre il cosa proporre. Quando parlare, quando tacere. Perché gli staff sono numerosi, le voci tante, insomma parlare di più non è che aiuti.”
Ruoli interconnessi
“Sono uno dei tre assistenti principali, quelli seduti in panchina, davanti agli altri che stanno dietro. A rotazione, per una decina di partite, in stagione regolare i tre si scambiano aree di competenza: attacco, difesa, situazioni speciali. Ai play-off siamo arrivati stabilizzati. Per me, l’attacco. Ma la circolazione di idee nello staff è in realtà senza steccati. Per dire, quando Nurse ha deciso che in finale in qualche azione avremmo usato difese miste per sorprendere i Warriors, una scelta che ha pagato, ero coinvolto: in Europa box and one e triangle and two sono pane quotidiano.”
Nick Nurse
“Le due G League vinte da Nick, i suoi cinque anni da primo assistente valgono là quanto i miei titoli in Europa. Dunque, discorso chiuso. Poi è stato bravo lui a rapportarsi coi vice, a dare ascolto, rispetto, considerazione, autonomia. Lo conoscevo da anni, al villaggio olimpico di Londra c’eravamo parlati spesso.”
Toronto e l’Italia
“Di sicuro questa è una franchigia aperta, dove l’aggettivo più usato è internazionale. Il timbro canadese è non scimmiottare gli altri club, avere uno stile originale. Qui, un anno fa, fu a un passo dall’assunzione Messina. Un italiano, mai visto nella Nba.”
Olimpia, adesso Messina
“Se credono che tutto si risolverà dando una delega ampia a un professionista eccellente, che poi ci pensa lui, non funziona così. C’è bisogno di una società forte, solida, impermeabile a ciò che passa da dentro a fuori e viceversa. Ci saranno momenti in cui Messina dovrà spendersi anzitutto da allenatore, la solita routine da coach, vittorie e sconfitte. Lì servirà la società. Come l’Olimpia non ha fatto sempre, in questi anni.”
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