Se lo chiedono in tanti (CP3 su tutti) e da molto tempo: Blake Griffin può diventare uno dei trascinatori di questi Los Angeles Clippers oppure resterà per sempre un eterno incompiuto? Riuscirà a segnare anche quando la palla inizia a pesare incidendo sul risultato o continuerà ad essere un atleta da giocata spettacolare e nulla più?
I dubbi che affiorano quando si parla del prodotto dell’Oklahoma sono questi, visto che da due anni a questa parte la crescita del giocatore dei Clippers non è proseguita come ci si aspettava. Oh, tanto per chiarire: Griffin è stato nominato giocatore della settimana ad Ovest non più tardi di 10 giorni fa, le sue cifre sono di tutto rispetto e la spettacolarità delle sue schiacciate è roba che ti lascia intontito davanti allo schermo.
Però (ed è un enorme però) non convince quando dovrebbe. Non incide quando ci si aspetta qualcosa di importante. Non si mostra maturo quando la situazione lo richiede con maggiore insistenza. Ma andiamo con ordine.
I numeri, quelli classici, sono da campione già affermato. 55% al tiro, doppia doppia di media, plus/minus superiore a quello della squadra, rapporto assist/palle perse superiore ad 1 (una manna per un lungo). Nulla di cui lamentarsi, se non fosse altro che le statistiche (come tutto il resto nel basket e nella vita) vanno contestualizzate, incasellate tenendo conto di quanto utili siano i punti che metti a referto e di quanto pesi la tua presenza/assenza sul parquet.
Le statistiche cosiddette “Clutch” danno un’indicazione più chiara. Queste tengono conto delle statistiche relative agli ultimi 5 minuti delle partite in cui il punteggio varia +/- 5 punti, sostanzialmente un finale di gara combattuto.
Le cifre di Griffin mutano considerevolmente. Il lungo dei Clippers tira soltanto una volta (in genere una schiacciata generata da una giocata di Paul alla quale è difficile sottrarsi, vedi partita contro i Kings di ieri) con percentuali più basse (la mano inizia a tremare e il tiro dalla media non entra più). Il rapporto assist/palle perse si ribalta, ma i dati che colpiscono sono quelli in rosso. La totale assenza di giocate d’impatto, di giocate di intensità. Nessuna stoppata (una delle specialità della casa, in teoria), nessun pallone rubato. L’opposto di quello che ci si aspetterebbe da un leader in campo e fuori (visto che il numero degli zeri presenti sul suo contratto lo rendono tale).
A queste “critiche” si aggiungono poi altre perplessità, quelle tecniche relative ad entrambe le metà campo.
Offensivamente i problemi sono legati al fatto che Griffin si configura come un giocatore fortemente atipico. Molto atletico (un’esplosività “da nero”), con buone doti di palleggiatore, di visione di gioco (sempre contro i Kings ha guidato un contropiede per poi cercare l’uomo in angolo con un no-look) e un discreto tiro dalla media. Beh, tutto perfetto quindi.
In una logica NBA le cose non stanno proprio così invece. In una Lega in cui “In medio NON stat virtus” (cit.), saper fare un po’ tutto non è necessariamente un vantaggio. Griffin è palesemente in difficoltà nel gioco spalle a canestro, manca sia di tecnica che di capacità di lettura. Inoltre, come mostrato dalla distribuzione dei tiri, si fida ancora molto poco del suo tiro dalla media, quello che gli permetterebbe di fare il definitivo salto di qualità. Per ora però, l’attacco al canestro avversario resta “monotematico” (alley-hoop è la parola più pronunciata all’interno dello Staples Center quando giocano i Clippers).
A questo poi si aggiungono lacune (o meglio voragini) difensive che, a differenza del resto, non sono giustificabili e (purtroppo per CP3) non lasciano ben sperare. Un esempio estrapolato sempre dalla pluricitata partita di ieri.
I Kings sono in rimonta dopo esser stati sotto di 20. In questo caso Cousins (contro cui Griffin ha sofferto parecchio) è accoppiato con Jordan (cerchietto rosso) e a lui tocca Patterson (lungo con grandi qualità nel tiro dalla grande distanza).
Cousins porta il blocco a Vasquez e sull’azione di p&r Griffin si porta a protezione del canestro, “riempiendo” l’area e lasciando spazio a Patterson per prendere la conclusione dall’arco. Scelta discutibile (viste le percentuali nella serata del numero 9 della squadra di Sacramento) che però può avere una sua logica (difendo il canestro per evitare punti facili su un’eventuale penetrazione del play avversario).
La palla va al giocatore in angolo (cerchietto rosso) e Griffin continua (sbagliando) a guardare la palla, dimenticandosi dell’avversario che è solo, ha spazio ed è più vicino di lui al canestro.
Il passaggio però non arriva, la difesa si accoppia di nuovo e i Kings vanno a cercare Cousins in post medio.
Il lungo dei Clippers ancora una volta calamita la sua attenzione verso la palla, si dimentica per la TERZA VOLTA NELLA STESSA AZIONE del suo uomo, che gli taglia alle spalle con facilità. L’assurdità della dimenticanza diventa drammatica se si pensa che mancavano soltanto 2 secondi al termine del possesso Kings (cerchietto blu).
Patterson riceve nel cuore dell’area indisturbato e realizza due comodi punti allo scadere dei 24 secondi.
Questo è solo uno degli esempi che si possono impugnare per mettere in luce alcune delle pecche difensive sulle quali coach Rivers sta cercando di lavorare ed incidere. Ma i dati delle statistiche avanzate lasciano intendere che c’è ancora molta strada da fare. Per citarne una: la percentuale di realizzazione al ferro degli avversari che attaccano il canestro mentre Griffin lo presidia (“Defensive Impact”) è pari al 56%. Tanto, forse troppo per uno che deve e può migliorare in maniera considerevole sotto questo aspetto.
Avrei potuto caricare decine di video con schiacciate spettacolari, con giocate al limite dell’immaginabile. Mi è sembrato più logico, invece, analizzare i punti critici di un giocatore che è a tutti gli effetti all’interno dell’élite NBA, ma al quale manca ancora qualcosa per diventare decisivo.
Chris Paul e tutti i tifosi dei Clippers sperano riesca a trovarla presto.