Nella notte sono andate in scena soltanto due partite (i Knicks hanno giocato nel tardo pomeriggio di ieri in realtà, vincendo facilmente contro i Suns), ma le sorprese, ormai consuetudine quando si parla di Lakers, non sono mancate. Rimontati in casa con un parziale di 40-26 nel quarto quarto dai derelitti Orlando Magic (con tutto il rispetto, una delle peggiori franchigie della lega quest’anno), che porta in dote per i gialloviola la nona sconfitta stagionale (la quinta da quando è arrivato D’Antoni). Il fatto che la sconfitta sia arrivata proprio contro la squadra della Florida, nella quale Howard ha militato fino ad Agosto, che dal momento della sua partenza ha iniziato lentamente a riprogrammare e riprogettare un futuro fatto di “liberare spazio salariale” e “cercare di accaparrarsi le scelte migliori al draft”, da un tono ancora più disfattista a quella che già di per sè è una situazione critica in casa Lakers. La squadra con grosse difficoltà riesce a gestire il vantaggio che accumula nelle partite, è molle sia di testa che in campo, fatica a mantenere un record superiore al 50% di vittorie (dopo stanotte si è scesi al 47%, 8-9).
La domanda sorge spontanea: ma il problema non era Mike Brown?
Il coach dei Lakers, scacciato dopo sole 4 partite di Regular Season (un record o quasi in Nba), era stato considerato l’unico colpevole di una situazione che, all’ombra della collina di Hollywood sta assumendo sempre più i contorni dei film drammatici che lì vengono prodotti. Sarà che ho appena terminato la lettura del libro da poco uscito, scritto da Ettore Messina riguardo la stagione da lui trascorsa come assistente di Brown (del quale spero di scrivere la recensione nel prossimo appuntamento settimanale di “libri e film Nba”), ma mi sono molto ricreduto sulle capacità e su quello che coach Brown era comunque riuscito a costruire in California (a prescindere dai pessimi risultati che il nuovo corso sta avendo).
Io sono stato il primo a puntare il dito contro l’ex coach losangelino, ritenendolo ormai un capitolo chiuso della storia Lakers (anche se avevo espresso le mie perplessità sulla bontà della scelta di D’Antoni) e resto convinto che proseguire ancora con lui (per quanto la stagione fosse ed è tutt’ora in fase embrionale) non potesse essere una scelta possibile, vista la pressione che stampa, media e tifosi facevano sull’head coach. Un cambiamento così radicale, però, poteva essere evitato.
Brown ha combattuto per tutta la sua permanenza ad LA contro la “tendenza egocentrista” di Kobe, cercando il più possibile di stimolarlo a giocare con gli altri, a tenere in partita i compagni e a suddividere le responsabilità offensive con loro. Nel bene o nel male la scorsa stagione i Lakers hanno raggiunto i playoff, vincendo a fatica (senza Metta World Peace, causa la nota vicenda con Harden) contro Denver e perdendo contro i Thunder molto più nettamente di quanto il campo in realtà non avesse detto (gara2 e gara4 sono state vinte da OKC solo nel finale).
Quest’anno invece Kobe è ritornato ad essere quello del post primo three peat (quello del 2004-2005-2006 per intenderci), straordinario solista, realizzatore meraviglioso, ma che non coinvolge la squadra, che tiene la palla ferma per 20 secondi prima di cercare la via del canestro in maniera difficoltosa, che perde causa adattamenti difensivi un sacco di palloni, ma che intestardendosi continua a provarci senza modificare il suo approccio. Bryant è il miglior realizzatore della lega con 27 punti di media a partita in questo inizio di stagione, spesso sta andando sopra i 40 punti, ma questo ovviamente continua a non bastare ai Lakers per trovare continuità di risultati (la gara contro i Pacers è emblematica in questo senso).
Una mia interpretazione del tutto personale rispetto al problema in casa Lakers parte dall’inizio della stagione scorsa, da quando lo staff gialloviola era quasi riuscito a portare a termine la trattativa con gli Hornets per mettere a disposizione di coach Brown (e di Kobe) i servigi di Chris Paul, in maniera direi quasi indiscussa il miglior “playmaker” della Lega (considerando il significato primo della parola, di gran lunga il miglior “costruttore di gioco”). Quella trade e quell’innesto sarebbero state le armi giuste per rilanciare un ultimo “ciclo Bryant” in casa Lakers. Era talmente palese come cosa, che Stern si è attivato per far si che non avvenisse (come tutti ben sappiamo).
E’ quello secondo me lo “choc” che ancora oggi si ripercuote sulla gestione e sul rendimento della squadra losangelina. L’anno scorso questo ha portato comunque alla partenza di Odom, lasciando un buco evidente nel roster dello scorso anno (una delle tante cause dell’insuccesso Lakers), costringendo Brown e assistenti (Messina incluso) a rivedere schemi e intendimenti per la stagione. Inoltre a mio avviso questo ha generato una voglia di rivalsa all’interno del management Lakers che ha fatto sì che essi trascurassero la possibilità di rinforzare la squadra in corsa lo scorso anno (di certo non potevano sperare che Session al posto di Fisher fosse la soluzione a tutti i mali), focalizzando l’attenzione sul mercato estivo, volendo costruire a tutti i costi una squadra che conquistasse tutte le copertine dei giornali ancor prima di vincere titoli. All’annuncio dell’acquisto di Howard e Nash tutti abbiamo fantasticato su quanto fossero diventati forti i Lakers, sul fatto che l’anello era un’affare tra loro e Miami e su quanto spettacolare sarebbe stato vedere all’opera le quattro All Star insieme. Se però fossi rimasti con i piedi per terra, avremmo potuto facilmente evidenziare delle carenze che questo mercato estivo portava in dote, come la difficoltà cronica di Gasol di giocare in uno contesto che prevede il doppio lungo in campo (vedi scorsa stagione con Bynum), i problemi legati all’età di Nash, ma soprattutto la totale assenza di una panchina valida, con il solo Jamison illusoria speranza (almeno per ora risultata vana).
Dopo la questione tra gli Spurs e Stern degli ultimi giorni non è mia intenzione continuare ad addossare colpe al commissioner , descrivendolo come la causa di tutti i mali, ma è evidente che la sua intromissione la scorsa stagione ha cambiato (e di molto) le carte in tavola, con ripercussioni che ancora oggi fanno sentire il loro peso.
Io ovviamente non so se i Lakers riusciranno a trovare un nuovo equilibrio in questa stagione (con i campioni di cui dispongono ancora nulla è compromesso), nè se potranno risultare competitivi a maggio inoltrato. Quello che so è che, se non cambia in fretta qualcosa prima ancora nelle teste che non nelle gambe e nelle mani, difficilmente Kobe potrà al termine di questa stagione eguagliare il record di anelli di MJ.
P.S. Ho preferito sorvolare su argomenti triti e ritriti come i liberi di Howard, la mancanza di agonismo di Gasol ecc ecc. Di quello già se ne parla abbastanza direi.