Detroit è tornata ai playoff dopo sei anni di vacche magre. La squadra, sotto la guida di Stan Van Gundy, ha finalmente ritrovato certezze, a partire dalla forza bruta di un Andre Drummond mai così indispensabile (e che andrà rifirmato a peso d’oro). Le giovani stelle della Motor City, un anno più esperte, spingono per riportare i Pistons al rombo minaccioso dell’epoca Billups & Co. L’Est deve tremare?
Mercato
La priorità numero 1, 2 e 3 della free agency dei Pistons sarà rifirmare il restricted free agent di lusso Andre Drummond. Il centro – a ventitré anni ancora da compiere – è già ora la principale potenza con la quale fare i conti sotto i tabelloni della Eastern Conference. La statline 2015-2016 parla per lui: 16.2 punti, 14.8 rimbalzi, 1.5 rubate, 1.4 stoppate di media (in “soli” 32.9 minuti a partita). Drummond ricorda da vicinissimo il Dwight Howard prima maniera (orride percentuali ai liberi comprese e, se possibile, ancora più imbarazzanti: ‘Dre, sempre in questo 2015-2016, ha fatto registrare i peggiori numeri della storia NBA dalla lunetta e ha il 38% in carriera); i due, non a caso, sono accomunati anche dalla militanza sotto coach Van Gundy. Proprio Van Gundy, che è pure President of Basketball Operations dei Pistons, farà di tutto per trattenere Drummond. Quasi impossibile che il centro se ne vada, dato che Detroit può pareggiare ogni offerta “esterna”; molto probabile che il lungo ottenga un max contract (120 milioni di dollari complessivi per 5 anni), che lo renderebbe il giocatore più pagato della storia dei Pistons. Il gioco dovrebbe valere la candela – data la morìa di centri di alto livello – anche se i problemi dalla lunetta di ‘Dre sono una “red flag” di non poco conto.
Sistemato il caso Drummond, i Pistons potranno occuparsi di rifinire il roster. Il quintetto, al 99% sarà quello con cui hanno chiuso la scorsa stagione: Reggie Jackson, Kentavious Caldwell-Pope, Marcus Morris, Tobias Harris; ovviamente Drummond. Il nuovo arrivato Tobias Harris ha avuto qualche problema a livello di integrazione tattica, ma si è andato a unire a un core di giocatori davvero interessante e giovanissimo (età media dello starting five: 24 anni). La strategia di Stan Van Gundy e del front office Pistons sembra pagare, con un grosso nome acquisito entro la trade deadline a stagione in corso (era già stato fatto con Reggie Jackson) e la free agency utilizzata come finestra per le operazioni “di contorno”. Altro punto di evidente matrice Van Gundy è il tentativo di replicare nei dettagli il roster dei “suoi” Orlando Magic, Magic che tanto avevano fatto bene alla fine dello scorso decennio (con Howard sotto canestro e una batteria di tiratori – Rashard Lewis, Hedo Turkoglu, Mickael Pietrus, JJ Redick – ad aprire il campo). Come nel caso di quella Orlando, ai Pistons odierni manca versatilità sotto canestro (i Turkoglu e Lewis 2.0 – Harris e Morris – sono relativamente piccoli): si cercheranno sicuramente soluzioni di rincalzo negli spot di “4” e “5”, in modo da ampliare una rotazione che al momento vedrebbe il solo Aron Baynes (più il rookie Henry Ellenson, di cui si parlerà più sotto in dettaglio) come elemento di una certa solidità. Le alternative sul mercato spaziano dai “bombaroli” Ryan Anderson e Marvin Williams ai lunghi “vecchio stile” Joakim Noah e Timofey Mozgov. Nelle ultime ore si è parlato pure di un deciso interessamento per la star Al Horford, giocatore con un bagaglio tecnico che si sposerebbe molto bene con quello di Drummond.
Con un adeguato innesto nel reparto lunghi, ai Pistons rimarrebbe solo da trovare un playmaker di riserva affidabile (con Steve Blake che è andato a scadenza). Si sta parlando con insistenza di DJ Augustin; altre opzioni: Matthew Dellavedova, Jeremy Lin, Deron Williams, Brandon Jennings. Il giovane Stanley Johnson, che viene da una stagione da rookie ondivaga, ha i margini di crescita per coprire da riserva sia lo spot di guardia tiratrice che quello di ala piccola (e per diventare, un giorno, titolare). La grande incognita rimane Jodie Meeks, uno dei tiratori principi dell’intera NBA, firmato a cifre importanti ma con sole 3 partite a referto nella scorsa stagione. I Pistons lo starebbero offrendo a mezza Lega, ma ancora non hanno trovato un acquirente. Dovesse partire, probabile che Detroit si muova per acquisire una guardia dal profilo simile (tiro, tiro, ancora tiro; nelle squadre di Van Gundy, centro a parte, devono tirare tutti) ma più giovane e meno injury prone.
Draft
La scelta numero 18 nel Draft 2016, Henry Ellenson, va a riempire un visibile gap nel roster dei Pistons. L’ala grande da Marquette ha le caratteristiche (imponenza fisica, tiro, intelligenza cestistica) per diventare da subito un buonissimo complemento per i vari Drummond, Harris e Baynes. Il giocatore è stato descritto come un mix tra Donatas Motiejunas (che era stato a un passo dai Pistons qualche mese addietro) e Ryan Anderson: un lungo bianco classico con ottimi fondamentali ma con qualche problema di mobilità laterale e di esplosività in ottica NBA. Da testare anche la sua adattabilità al range balistico dei pro (Ellenson, che è del 1997, sta ancora lavorando alla transizione da tiro dalla media a tiro da tre). Nel complesso, comunque, sembra una buona pick, considerando anche che era dato in media-tarda lottery dalla maggior parte dei mock draft.
Alla 49 i Pistons hanno preso il 24enne Michael Gbinije, uno dei giocatori più “anziani” del Draft. La guardia/ala ex Syracuse (e Duke, il trasferimento gli è costato un anno di inattività) ha tutto per dire la sua in NBA: fisico massiccio per il ruolo, dinamismo, tiro da tre, attitudini difensive. A livello di puro talento/attitudine “NBA ready” Gbinije era materiale da primo giro: è scivolato più in basso perché già vicino ai 25 anni e perché “poco specializzato”; trattasi infatti di all around player senza vere eccellenze. Comunque, alla 49, una presa più che dignitosa.
Futuro
I Pistons, dopo il 44-38 della scorsa stagione e il 4-0 subìto al primo turno di playoff da parte dei futuri campioni Cleveland Cavaliers, si approcceranno al 2016-2017 con tutte le intenzioni di entrare nei primi 5 posti di una Eastern Conference in decisa crescita. Il ritorno di Detroit ai livelli di eccellenza dell’epoca Billups-Hamilton-Wallaces dipende molto dalla crescita tecnico-caratteriale della star Drummond (dando la rifirma per scontata) e dall’adeguata introiettazione del sistema-Van Gundy da parte dei restanti membri della rotazione. Reggie Jackson è già oggi una certezza e un play di fascia quasi-elite NBA (perfetto, grazie alla sua esplosività, per il pick’n’roll con Drummond); il peso del definitivo salto di qualità poggerà sul lavoro svolto dalla guardia Caldwell-Pope, dalle ali Morris e Harris e dalla new-entry Ellenson, senza dimenticare l’acerbo Johnson. Tutti hanno margini di crescita (anche il 27enne Morris, che lo scorso anno ha giocato la prima stagione da protagonista); a Van Gundy il difficile (ma non impossibile) compito di spremere al massimo la propria creatura.
Detroit è tornata, il rombo della Motor City già si ode in lontananza. I giovani terribili dei Pistons non vogliono fare prigionieri.
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