It could work
“Si-può-fare”. Tre parole. Tre parole che, grazie al compianto Gene Wilder nel ruolo del professor Frederick von Frankenstein, sono divenute l’affermazione introduttiva a qualunque impresa prima ritenuta impossibile. Tre parole, le quali probabilmente risuonarono in lingua mandarino anche il 12 settembre 1980 in quel di Shanghai, nel reparto maternità dell’ospedale numero 6.
Ci troviamo in Cina, quattro anni dopo la scomparsa dello storico portavoce e presidente del Partito Comunista: Mao Zedong. Uomo dalla personalità controversa, ad oggi una delle figure più influenti nella storia della superpotenza Asiatica, che prima di passare a miglior vita pronunciò una singolare esortazione testamentaria ai propri sostenitori:
Arruolate i giovani geneticamente più dotati nella macchina sportiva cinese.
A che pro? Vincere, e farlo sempre.
Sulla base di questi presupposti, le autorità governative comuniste combinano le nozze di due astri “superdotati” del basket Orientale. Lui è Yao Zhiyuan, un giovanotto ben quartato con gli occhi a mandorla di 2,08 metri. Lei è Fang Fengdi, un’amazzone alta 1,86 metri con un passato da soldatessa intransigente. La loro storia d’amore non è di certo materia da romanzo alla Jane Austen, ma l’accoppiamento “a tavolino” dà i frutti sperati quando nasce il “piccolo” Ming Yao.
Piccolo per modo di dire. Sì perché il neonato quando viene alla luce pesa il doppio di un normale bebè, ha il cranio squadrato ed un allungamento articolare da bambino di tre anni. Ed è quando Yao apre gli occhi per la prima volta che riverberano le sopracitate parole del professor Frankenstein. L’utopia di Mao, l’esperimento superuomo è riuscito. Dall’incontro di due persone straordinarie, è stato generato qualcosa che trascende la specie: un gigante delle favole alla fine della pianta di fagioli.
A soli 13 anni Yao è già alto 2 metri. Le autorità di Shanghai dunque gli impongono di lasciare casa e famiglia, per trasferirsi negli appartamenti dell’Istituto dello Sport, un eufemismo per indicare una vera e propria fabbrica di fenomeni. Per otto anni il ragazzo viene sottoposto fisicamente e mentalmente ad allenamenti al limite del sopportabile, costantemente monitorato da istruttori e scienziati. Yao non è più un uomo, ma un cyborg in via di sviluppo con il solo obiettivo di diventare Il migliore. E come spesso accade ad un leone a cui si domandi se apprezza la gabbia, Yao affermò:
Il basket non mi piaceva. Ho continuato solo per rispetto nei confronti dei miei genitori.
Il giovane talento Orientale continua sì, e lo fa per davvero. Tant’è che milita per tre anni fra le fila degli Shanghai Sharks, arrivando a vincere il campionato cinese nel 2001 con cifre immaginifiche: 32,9 punti di media e 19 rimbalzi a stagione.
Yao è pronto, la sua progettazione ultimata, ed è arrivato il momento di sbarcare nel più importante palcoscenico cestistico del mondo. Agli Houston Rockets non par vero di potere chiamare con la prima scelta assoluta un “Wilt Chamberlain giallo” che svetta sopra tutti, anche in una Lega di Golia come la NBA.
Le voci e le indiscrezioni che lo precedono hanno quel gusto di leggendario che solo un uomo fuori dal comune può portarsi dietro. Non mancano però gli scettici, quelli che non vedono come un ragazzo di soli 22 anni possa riuscire a controllare un corpo di 140 chili per 226 centimetri.
Il giorno del suo esordio in NBA il Toyota Center è il Barnum Circus del famoso Greatest Show on Earth. Il sold-out è cosa scontata. Non importa con chi si scontrino i Rockets (Indiana Pacers, ndr), non importa che vincano o che perdano, ciò che importa è uscire dal palazzetto ed avere una storia da raccontare agli amici al bar.
«Today I saw a Chinese giaiant playing basketball»
«Was it strong?»
«At all»
Già. At all. Per niente. Perché Yao nella sua prima partita NBA segna 0 punti e cattura appena 2 rimbalzi. Ma Yao è una macchina, che se oliata a dovere fa cantare il motore dentro di sé. Chiude la stagione da Rookie con 13.5 punti e 8.2 rimbalzi di media. E’ Stoudemire però ad aggiudicarsi il premio di giovane dell’anno.
Dal 2003 la musica cambia. Yao si adegua alla perfezione al nuovo ambiente Statunitense, così diverso dalla sua amata Cina. Approda all’All Star Game come riserva di Duncan e diviene presenza fissa nella lista dei migliori Big-Men della Lega. Nel 2004 il maxi scambio fra Orlando e Houston fa arrivare in maglia bianco-rossa niente di meno che T-Mac: l’uomo della schiacciata Rewind, e molto presto l’uomo dei 13 punti in 35 secondi.
Nonostante un’accoppiata del genere, i Rockets faticano ad andare oltre il primo turno di Playoffs. McGrady ha una schiena simile ad un campo minato e Yao, già nel 2005, comincia ad avvertire i primi sintomi che saranno premonitori di infortuni ben più gravi.
Si può dire che il suo punto di forza, l’altezza, sia stato anche il suo punto più debole. Non è facile portare in giro una mole così pachidermica senza stressare le articolazioni di ginocchia e piedi. E quando Van Gundy iniziò a chiedere accelerazioni ad uno come Yao, fu come inginocchiarsi di fronte al colosso di Rodi ed implorarlo di correre. Tuttavia, i problemi fisici sono ancora arginabili e la stagione 2006-2007 è la migliore dal suo arrivo in NBA. I Playoffs per Houston finiscono ancora al primo round contro i Jazz di Sloan, ma in Gara 7 Yao dà prova di quanto è stato creato per fare. Segna 15 punti nel solo ultimo quarto, sfiorando un’insperata vittoria.
Nella successiva stagione, quella della consacrazione, Yao conclude la regular season senza guai fisici con 19.7 punti e 9.9 rimbalzi. Porta sulle sue ampie spalle i Rockets sino al secondo turno contro L.A, sponda Lakers. Quella serie sarà per Yao il crocevia fra Paradiso e Inferno, propendente al basso. In gara 3 si infortuna gravemente al piede sinistro e non ricomparirà nella Serie, poi vinta dai Lakers.
Madre Natura dà e Madre Natura prende. Nel caso di Yao probabilmente ella è stata quanto mai impietosa, perché il centro Cinese tornerà sui parquet NBA, ma solo per 4 gare, dopo le quali un altro infortunio alla caviglia farà calare definitivamente il sipario sulla sua carriera.
Pochi giorni fa, Yao è stato ufficialmente inserito nella Naismith Basketball Hall of Fame. Stando al parere di molti, ingiustamente. Certo, soffermandosi al mero dato statistico, non si può dire che la carriera di Yao abbia rispettato i presupposti. Ma la Hall of Fame è qualcosa che trascende il campo da gioco. Yao è stato un eroe di due mondi. Un gigante che in un passo ha fatto da cordone ombelicale fra Stati Uniti e Cina. E’ stato il fulgido simbolo annunciatore della grandezza di una Cina in espansione. Ed è giusto ricordarlo come merita, con la bandiera rossa sulle spalle ai Giochi Olimpici di Pechino 2008, a guidare un Paese enorme, accompagnato dal boato delle solite tre paroline: Si può fare.